
Come diceva Manuel Vazquez Montalban, “non si sa di nessuno che sia riuscito a sedurre con ciò che aveva offerto da mangiare; ma esiste un lungo elenco di coloro che hanno sedotto spiegando quello che si stava per mangiare”. La narrazione ha una potenza evocativa che è nota agli studi psicologici, a quelli antropologici e a quelli relativi al marketing. Il senso è, in fondo, quello che cerchiamo nelle cose della vita. Nella maggior parte dei casi, la narrazione dei prodotti è affidata ad astute strategie di storytelling. È spesso efficace, perché viene costruita attorno agli aspetti meglio spendibili sul mercato, ma manca di sostanza. Così, l’esito è talvolta un’idealizzazione nostalgica di una determinata attività o di una pratica, che ha poca attinenza con la realtà dei fatti e che talvolta manca di originalità: “le cose di una volta” (senza pensare ad esempio che “una volta”, nella realtà latifondista della mezzadria, si ricorreva senza troppi scrupoli allo sfruttamento della terra e dei lavoratori, o che, come sanno bene i vignaioli contemporanei, fare i vini come si facevano una volta significa farli tendenzialmente di qualità inferiore).
In Mugello, la sostanza non manca. Storie affascinanti di orafi dirottati alla viticoltura o di commercianti votati alle più raffinate tecniche casearie, realtà antiche che si tramandano, giovani che si inventano agricoltori e che con passione seguono non solo sogni, ma anche principi etici, valori morali, aspirazioni comunitarie, aziende che lavorano secondo principi ispirati alla “tradizione” ma anche orientati alla qualità del prodotto e al rispetto del territorio. L’obiettivo di Orme è quello di dar voce a queste storie, documentandole in maniera rigorosa, per poi restituirle a un pubblico ampio in un formato fruibile, immediato e ironico. Perché siamo convinti che nel caso del Mugello il fascino risieda già nella materia prima, e che la realtà non abbia bisogno di grandi costruzioni retoriche o di formule accattivanti (insomma, di fumo negli occhi) per sedurre e destare interesse. In questo senso, non ci proponiamo semplicemente di utilizzare la storia come serbatoio di tradizioni. Al contrario, vogliamo documentare le vicissitudini, i processi e le persone che fanno la storia, anche ai giorni nostri.

In questo territorio a mezza via tra Firenze e Bologna il viaggiatore potrà scoprire una varietà di prodotti della terra che hanno conservato nel tempo l’autenticità delle proprie tradizioni. I piatti ereditati dalla cucina mugellana sono importanti e tipici, con sapori “naturali” perché conditi dagli aromi tradizionali e mai contaminati da ingredienti più ricchi oggi spesso abusati. Sono particolarmente di rilievo per il territorio, sia come prodotti di base, sia attraverso le lavorazioni e trasformazioni, la carne (in particolare i bovini), il farro, il latte (sia quello di mucca, in particolare quello di Alta Qualità, sia quello di pecora), il marrone del Mugello IGP, il miele, il pane del Mugello, il tartufo bianco, i vini del Mugello (pinot nero e vin santo), la birra, lo zafferano. I primi sono spesso “i tortelli di patate”, le tagliatelle al ragù di funghi, cinghiale o lepre, farinate, zuppe, minestroni ricchi di profumi e pappe; la carne ricopre oggi un ruolo importante nella tavola mugellana: bistecche spesse circa due dita (circa 3-4 cm), ma anche rosticciana e salsicce oppure conigli ripieni e il particolare papero lesso. Il formaggio è pecorino, di pura pecora o misto, e i contorni sono fagioli all’olio, le mille verdure dell’orto, golosissime quando sono fritte (carciofi, melanzane, fiori di zucca). I dolci sono semplici come il “pan di ramerino”, la “schiacciata con l’uva”, classici come le crostate con tutte le marmellate, elaborati come la torta o il budino di Marradi realizzato con il prelibato marrone del Mugello I.G.P.
La tradizione gastronomica del Mugello è esito di una storia complessa e articolata e frutto di interessanti contaminazioni - le stesse che caratterizzano il territorio, a cavallo dell’Appennino, terra di confine tra Toscana e Romagna. Negli ultimi anni, molte delle realtà produttive del Mugello hanno intrapreso un percorso virtuoso verso la qualità, che le ha portate a riscoprire o approfondire tecniche produttive e prodotti del passato, ma allo stesso tempo a rimettere in discussione, ove necessario, quella visione stereotipata della tradizione che finisce spesso per produrre sterili cliché. Come quello che voleva che per bere il vino del Mugello si dovesse essere in due: uno che lo beve e l’altro che lo “arregge” (cioè lo sostiene). Così, a fianco dei pilastri gastronomici descritti nel paragrafo precedente, sono stati definiti (o recuperati) una serie di ambiti produttivi inediti, come quello vitivinicolo, con la scoperta di una particolare vocazione del territorio per il pinot nero e importanti riconoscimenti per alcune eccellenze a livello internazionale. O quello della canapa, la cui presenza sul territorio, significativa in tempi non troppo remoti, sembrava essere sparita dalla memoria collettiva.
Con tecniche innovative ma nel pieno rispetto – sempre più urgente – della sostenibilità ambientale e delle peculiarità climatiche e storiche del territorio, molti produttori si sono mossi, in maniera spesso indipendente, in direzione di una valorizzazione della biodiversità e delle vocazioni più promettenti di queste terre di confine, la cui storia non si ferma al Rinascimento ma coinvolge tutta la realtà contemporanea. La tradizione casearia locale, per esempio, ha una lunga storia sul territorio con i contadini che, non potendo conservare a lungo il latte munto e non usato o venduto, avevano preso a trasformarlo in formaggio di vario genere, come dimostrano anche le caratteristiche di certe abitazioni. È un settore produttivo che si colloca su un livello organolettico e nutrizionale in ascesa costante, e alla cui qualità un contributo essenziale hanno offerto i saperi e l’esperienza delle famiglie sarde giunte qui e in altre campagne della Toscana nella seconda parte del Novecento, portando con sé anche la razza ovina sarda, ormai la più diffusa sul territorio. Queste storie raccontano di una campagna che non è mai stata immobile e isolata, ma sempre luogo di scambi, relazioni, movimenti, abbandoni e ritorni.